In memoria di Luigi Russo (1961)

In memoria di Luigi Russo, «La Rassegna della letteratura italiana», a. 65°, s. VII, n. 2, Firenze, Sansoni, maggio-agosto 1961, pp. 217-218.

IN MEMORIA DI LUIGI RUSSO

Un gravissimo lutto ha colpito la cultura e la critica italiana con la scomparsa improvvisa, il 14 agosto scorso, di Luigi Russo.

Piú tardi io e altri, allievi e compagni di lavoro di lui, proporremo, come è doveroso, interpretazioni meditate della sua complessa figura di critico, di storiografo, di uomo di cultura. Ora, su questa rivista, la cui centrale impostazione storicistica ha chiari rapporti con aspetti preminenti del suo insegnamento, io, che fui suo scolaro a Pisa e che con lui (dopo tre anni di precedente scuola del Momigliano) mi laureai con una nota tesi sulla poetica del decadentismo italiano, e gli fui poi sempre amico e riconoscente per gli essenziali avvii e stimoli metodologici che da lui ho ricevuto, desidero rivolgere alla sua memoria un saluto carico di affetto e di rimpianto, ma insieme ispirato alla persuasione della sua viva presenza nel nostro lavoro di studiosi e nel nostro impegno di uomini di cultura.

Come già dissi, a nome dei suoi allievi ed amici, a Marina di Pietrasanta di fronte alla sua bara, la sua morte improvvisa ci ha riempito di doloroso e impersuaso sgomento, e se ciò avviene di fronte alla scomparsa di ogni esistenza umana, tanto piú ciò è avvenuto per la sua scomparsa, cosí grande era la forza vitale che emanava da ogni scritto ed atto di lui, e già dalla sua stessa originalissima presenza fisica: con il suo sguardo intelligente, tempestoso, ironico, con la sua voce piena, con gli scatti del suo umore estroso e originale, e persino con le sue collere, che, al loro centro, salivano comunque da un temperamento eccezionalmente vitale e da un indiscutibile coraggio. E si può aver consuonato o meno con tutte le sue prese di posizione, con tutte le sue polemiche, ma non si può non aver sentito il valore di presenza personale che esse sempre implicavano, il vigore del suo intervento continuo, del suo prender parte con estrema decisione e senza riserve, della sua impazienza di fronte a tutto ciò che egli giudicava ingiusto e sbagliato e chiamava pratico ateismo designando cosí l’inerzia morale, l’opportunismo conformistico, l’interessato compromesso, la subordinazione della coscienza ai vantaggi del proprio «particulare».

Vitalità e forza personale che si rivelano poi nel suo linguaggio fortemente espressivo e sempre teso al giudizio e all’impegno, nella sua lena di lavoro portato avanti in tutte le condizioni di salute, mai avaro e mai puramente accademico. Perché Russo, fornito di vigorosa preparazione, fu uno studioso che ebbe sempre vivissimo il senso dei rapporti essenziali fra letteratura, cultura e vita, e da questo senso trasse la forza del suo storicismo come impegno in cose vive e attuali: non solo nella letteratura contemporanea (in cui ebbe un suo proprio orientamento e una capacità di giudizio autonomo e innovatore, originalmente segnato nella sua monografia verghiana e nei suoi Narratori), ma anche in quella del passato sempre restituita alle sue condizioni di passato-presente, compresa nella sua perenne attualità storica, fatta vivere in rapporto a esigenze moderne e pur rispettata nella sua particolare peculiarità. Cosí come la sua forte vocazione di maestro di metodo critico (che ha offerto lezioni indimenticabili sui rapporti struttura-poesia, poetica-poesia in direzione di una visione dialettica e storica della letteratura mai svuotata del senso dell’individualità e del valore della poesia) seppe sempre mordere nel vivo della cultura contemporanea, seppe operare entro problemi attuali mettendo in movimento nuovo gli elementi piú vivi e fecondi del crocianesimo e del gentilianesimo (con vicinanze e distinzioni originali rispetto alle posizioni gramsciane e non senza la capacità di avvertire e vivere, entro i confini della sua ispirazione centrale, esigenze di critica del linguaggio); né mai essa fu disgiunta da una concreta capacità di fare storia e di attuare critica, di portare nuove definizioni e interpretazioni di poeti e di periodi letterari. E se la validità di un critico e di uno storico-letterario può misurarsi sulla ricchezza e sulla resistenza dei suoi interventi, sulla sua capacità di rinnovare e approfondire momenti e personalità della storia letteraria, offrendo insieme stimoli e lezioni di metodo, ben pochi sono i critici e gli storiografi novecenteschi che gli possano essere posti accanto.

E basti ancora pensare, per riconoscere la forza suggestiva della sua presenza nella cultura critica novecentesca, alla sua vigorosa nozione di letterato-antiletterato, alla sua spinta realistica e storicistica (fino alle sue tesi della politicità e socialità trascendentale di ogni poeta) mai ridotta al puro documentarismo di contenuti ideologici né priva del senso nuovo e storicamente creativo di ogni vera realtà poetica.

Dal suo lavoro e dalla sua lezione metodologica, dalla sua viva discussione con le posizioni critiche e metodologiche altrui derivarono e possono derivare riprese e sviluppi ulteriori, affiatati con nuove esigenze piú presenti in nuove situazioni critiche e storiche, ma non sarà facile comunque ignorare la validità e la fecondità del suo metodo nell’attuale problematica, la centralità delle sue istanze entro l’ambito storicistico impostato dal De Sanctis, tanto arricchito e approfondito nella sua personale revisione e nella ripresa e discussione rinnovante degli elementi piú storicistici del Croce e del Gentile.

Né occorrerà appartenere alla sua «parrocchia» (a voler usare polemicamente l’espressione infelice di un necrologio infelice) per riconoscere il debito che ha con lui la nostra critica e storiografia letteraria e per riconoscere insieme il suo coraggio, la sincerità della sua ispirazione etico-politica, della sua fede laica, della sua avversione alla dittatura fascista e della sua lotta contro la prepotenza clericale, la lezione del suo centrale accordo tra posizioni critiche, culturali, etico-politiche, la cui forza unitaria rifluí concretamente nell’intensità del suo lavoro critico.

Scompare con lui uno dei protagonisti della nostra cultura, e il nostro dolore per la sua scomparsa è anche dolore per la progressiva scomparsa della forte generazione cui egli appartenne (nello stesso giorno della sua morte è scomparso anche Lionello Venturi), è anche ansia di non essere del tutto indegni dell’eredità che l’uomo e la generazione ci lasciano, è desiderio di operare in nuove situazioni culturali almeno con la sincerità e con l’impegno, con la fedeltà al lavoro e alla vita di cui uomini come Luigi Russo dettero cosí intensa prova.

20 agosto 1961